Marina Venturini
La pandemia di COVID-19 ha un impatto a livello psicologico e pratico particolarmente significativo sulle persone con patologie croniche, come la malattia psoriasica, la psoriasi e l’artrite psoriasica. Inoltre, l’infezione da virus SARS-CoV-2 può comportare la necessità di interrompere alcuni trattamenti per la malattia psoriasica.
I trattamenti comunemente in uso nei pazienti con psoriasi moderata-grave prevedono l’utilizzo di farmaci immunosoppressivi o immunomodulanti che si sono dimostrati in grado di controllare in modo efficace la malattia.
Anche per quanto riguarda la vaccinazione anti-COVID-19 non vi sono controindicazioni per i pazienti psoriasici in trattamento immunosoppressivo/ immunomodulante.
Le evidenze finora ottenute non hanno rilevato alcun aumento degli effetti collaterali dei vaccini in tali pazienti, né peggioramento della gravità della psoriasi dopo la vaccinazione, sia per i vaccini a mRNA sia per i vaccini a vettore virale non replicante.
Si raccomanda tuttavia di distanziare la somministrazione delle dosi del vaccino di alcuni giorni rispetto alla somministrazione del farmaco biologico, non tanto per eventuali effetti collaterali al vaccino, ma per evitare l’eventuale interferenza del farmaco immunomodulante/immunosoppressivo nei confronti del vaccino poiché potrebbe potenzialmente ridurre la produzione del titolo anticorpale, sebbene al momento non vi siano ancora evidenze certe in tal senso.
Trattandosi di farmaci che possono interferire o modulare la risposta immunitaria dell’organismo, numerosi timori erano insorti nelle fasi iniziali della pandemia di COVID-19 nei confronti dei pazienti psoriasici in trattamento con farmaci sistemici o biologici.
Numerosi studi a proposito hanno però dimostrato che i pazienti psoriasici sottoposti a tali trattamenti non hanno un’aumentata suscettibilità all’infezione da virus SARS-CoV-2 rispetto alla popolazione generale, né in termini di incidenza di infezione né per quanto riguarda il rischio di ospedalizzazione o gravità del decorso.
Una spiegazione di ciò può essere attribuita a un possibile ruolo protettivo delle terapie immunomodulanti nei confronti dell’importante stato infiammatorio generalizzato (la cosiddetta “tempesta citochinica”) che è scatenato dall’infezione da SARS-CoV-2.
Tale riposta infiammatoria consiste in una reazione esageratamente violenta delle difese immunitarie al fine di debellare il virus, ma risulta essere talmente abnorme da attaccare tutti gli organi del paziente, portando a uno stato di compromissione tale che in taluni casi determina purtroppo la morte dell’individuo affetto.
I pazienti affetti da psoriasi che hanno anche comorbilità quali ipertensione, obesità, malattie cardiovascolari e diabete, hanno comunque un rischio aumentato di una cattiva prognosi in caso di COVID-19 allo stesso modo di chi presenta tali malattie nella popolazione generale, non affetta da psoriasi e che non è in trattamento con alcun farmaco immunosoppressivo/immunomodulante.
Non vi sono evidenze scientifiche che sostengano che i pazienti psoriasici in terapia con farmaci immunosoppressivi/immunomodulanti debbano sospendere tali trattamenti in via preventiva.
Solamente in caso di COVID-19 accertato (tampone nasofaringeo positivo, infezione sintomatica) è raccomandato di sospendere temporaneamente l’assunzione di tali terapie anti-psoriasiche fino alla risoluzione dell’infezione (tampone nasofaringeo negativo, risoluzione della febbre).
Tale accortezza è valida per qualsiasi infezione sintomatica (indotta da qualsiasi patogeno virale o batterico) venga contratta da un paziente psoriasico in corso di tali terapie, poiché gli effetti potenzialmente negativi di tali terapie non possono essere completamente esclusi in corso di infezione attiva.
Alessandra Rosabianca
Le misure restrittive anti-COVID-19 possono dare origine a problemi di natura psicologica, emotiva e cognitiva, anche a lungo termine, tanto che è stato coniato il termine “psico-pandemia”.
Da questi effetti non sono certo escluse le persone con psoriasi, con artrite psoriasica e altre patologie infiammatorie e autoimmuni, per le quali lo stress e la gestione delle emozioni negative, come quelle connesse alla pandemia in corso, possono rappresentare un fattore scatenante o recrudescente.
Spesso le manifestazioni cutanee della psoriasi possono avere una ricaduta negativa a livello psicologico, generando vissuti depressivi, di disagio e vergogna, arrivando a intaccare l’immagine di sé e la propria autostima, e portando anche al ritiro sociale e all’isolamento, al punto che il 16% dei pazienti intervistati nel sondaggio Clear About Psoriasis ha dichiarato di nascondersi dal resto del mondo.
Se il lockdown e le misure restrittive anti-COVID-19 possono aver rappresentato, per alcuni, un alleggerimento dalla pressione sociale e dallo stigma riferito da molti pazienti affetti da psoriasi, a lungo andare le stesse misure possono aver acuito una forma di isolamento e ritiro sociale magari già presenti, e portato a un peggioramento di vissuti ansioso-depressivi.
Molti pazienti che soffrono di patologie reumatiche, tra cui l’artrite psoriasica, riferiscono di aver avuto difficoltà, a causa della pandemia, a contattare i propri curanti, fare esami e viste specialistiche o a reperire i farmaci.
Inoltre, l’emergenza COVID-19 e le restrizioni imposte per contrastarla hanno avuto un effetto negativo anche sulle diagnosi. Infatti, secondo la ricerca “Vivere con una patologia reumatologica” condotta dall’osservatorio APMARR-WeResearch, a partire dal 31 gennaio 2020, data della dichiarazione dello stato di emergenza, per i successivi 6 mesi, le diagnosi sono diminuite del 39,8% rispetto al 2019, fino ad arrivare a un calo del 69,6% nell’area Sud e Sicilia.
Tutti questi fattori e le difficoltà, insieme allo stress legato alla pandemia, possono aver scoraggiato le persone affette da patologie croniche nel continuare le cure prescritte e nel mantenere una buona aderenza terapeutica.
Tuttavia, dopo una comprensibile fase iniziale di “smarrimento”, anche il SSN e le diverse equipe mediche si sono riorganizzate e il lockdown ha rappresentato l’occasione per dare impulso all’innovazione, utilizzando degli strumenti che erano già disponibili ma sottoimpiegati, come i servizi di:
Telemedicina
Consulenze
on-line
Fascicolo sanitario elettronico e ricette dematerializzate
Si tratta di risorse e dispositivi che, favorendo l’accesso alle cure, aiutano a ridurre l’isolamento anche nei momenti in cui, per motivi diversi, non ci si può muovere da casa, garantendo continuità alla relazione medico-paziente e quindi alla cura.
Certamente, insieme a queste nuove risorse, è necessaria una minore rigidità da parte del personale e delle strutture sanitarie, oltre che una visione più ampia. Vanno cioè considerati non solo gli aspetti bio-medici, ma anche quelli sociali, psicologici ed economici che la pandemia ha fatto emergere con forza, a cui si aggiunge un bisogno di maggior confronto da parte dei pazienti, che chiedono un ruolo sempre più attivo nel proprio percorso di cura.
Ristabilire una buona alleanza terapeutica tra la persona affetta da psoriasi, artrite psoriasica e da altre malattie infiammatorie e croniche e i propri specialisti, rappresenta un modo per “ripartire” e ritornare a una normalità che può essere migliore di quella che conoscevamo prima.
Come la percezione del rischio e della paura possono essere contagiosi, allo stesso modo può esserlo la calma. È importante ristabilire l’omeostasi riportando il nostro sistema nervoso in uno stato di ottimale armonia soggettiva e collettiva anche grazie all’ingaggio sociale e al ripristino dei legami e delle relazioni... anche quelle con i propri curanti!
Ritornare alla normalità vuole dire anche ritornare alla cura.